Tra chi ingrossa il fronte del NO abbiamo:
- chi ragionando come se LinkedIn fosse Facebook non accetta richieste di collegamento da persone che non conosce personalmente, quasi interpretasse alla lettera il dettame che LinkedIn stesso recita.
- chi invece per sua policy non accetta richieste di collegamento da persone che non personalizzano il messaggio che accompagna l’invito.
- Infine chi invece sceglie accuratamente chi accettare e chi no in funzione se tale richiesta arriva da una persona professionalmente in target con gli obiettivi che si è posto. Tradotto se risponde o meno alla domanda: questa persona ha le caratteristiche per essere un domani mio cliente? Se si lo accetta, se no declina l’invito.
- chi accetta chiunque manco fossero le figurine dell’album dei calciatori perchè come scopo primario in LinkedIn ha quello di esporre vicino al suo nome e cognome il numero più alto possibile seguito da una “K” che va a testimoniare l’ampiezza del suo network.
- chi invece accetta in modo distratto chiunque bussi alla sua porta senza porsi alcun tipo di quesito.
- chi invece, anche se dopo un minimo di analisi, lo fa perchè convinto che la teoria della forza dei legami deboli di Mark Granovetter valga fortemente anche in LinkedIn.
Ed è proprio di questi ultimi, dei quali chiaramente faccio parte, di cui ti voglio parlare oggi in questo post. Ti parlerò del perchè applicare la teoria dei legami deboli a questo social network sia la scelta migliore. E lo farò non solo partendo da quanto teorizzato dal sociologo americano ma includendo alcuni aspetti tecnici tipici di questa piattaforma che perfettamente si sposano rafforzandone la validità.
Ma vediamo prima che cosa Mark Granovetter nel lontano 1975 aveva teorizzato.
Nel 1973, il sociologo americano pubblicò un articolo sul fenomeno dei «piccoli mondi» alla base di molti fenomeni sociali legati alle reti di contatti (che oggi è un po’ come dire social network).
Alla base di quell’articolo vi era una ricerca sulle modalità con cui le persone cercavano e trovavano lavoro. E più specificatamente in che modo queste reti sociali potevano aiutare la persona a raggiungere quell’obiettivo. Per la cronaca da quella ricerca emerse che solo il 17% di coloro che avevano trovato lavoro grazie ad una conoscenza era stato informato da un amico o parente (legami forti) mentre la maggioranza aveva ricevuto l’indicazione da persone che incontrava di rado e occasionalmente come ex-colleghi o vecchi compagni di scuola (legami deboli). Tralasciando i numeri che chiaramente lasciano il tempo che trova trattandosi di una ricerca fatta più di 40 anni fa, interessante rimane ciò che si deduce. Granovetter definì il fenomeno «la forza dei legami deboli» distinguendo appunto tra legami forti (di cui fanno parte parenti e amici più stretti) e legami deboli.
Tra cercare lavoro e cercare invece nuove opportunità di business il passo è breve. Per molti aspetti potrei affermare che non c’è alcuna differenza tra i due casi. Potremmo anche dire che il posto di lavoro è un’occasione di business esclusiva, tra due parti e che si protrae per un tempo più lungo (o almeno così spera chi lo cerca).
Ma veniamo ai perchè la teoria dei legami deboli ben si sposa con LinkedIn.
Quelli che Granovetter definì “ponti sociali” non sono solo ponti verso un’altra persona, ma ponti, nodi, crocevia verso reti sociali lontane da noi, gruppi di persone che con ogni probabilità ci sarebbero altrimenti del tutto sconosciute. Capisci ora l’importanza di questo tipo di connessioni?
Credere di poter giudicare l’opportunità di accettare una richiesta o meno o le potenzialità di business portate da quest’ultima in dote solo basandosi sulle caratteristiche professionali di questa credo non sia il modo corretto per decidere se accettare o meno una richiesta di contatto.
E non è nemmeno un buon parametro guardare come magari correttamente si fa in Facebook quanti contatti in comune si hanno, perchè paradossalmente secondo la teoria dei legami deboli la qualità e il numero di opportunità portate in dote sono inversamente proporzionale al numero di “amicizie” o “conoscenze” in comune
Rimuovere un legame forte o, per rimanere a LinkedIn non averlo nel proprio network, non avrebbe quasi nessun effetto sulle distanze sociali, in quanto pur sembrando indispensabili a tenere insieme la rete, non lo sono per ciò che riguarda i celeberrimi gradi di separazione in quanto ci connettono con persone con le quali saremmo connessi comunque. D’altro canto i legami deboli sono i ponti, i nodi che se eliminati o come in questo caso non costruiti, ci farebbero nel primo caso disgregare la rete nel secondo ci impedirebbero di aprirla verso opportunità inesplorate.
Detto questo passiamo ad alcuni aspetti tecnici di LinkedIn.
Per capirci facciamo un esempio (è solo un esempio, premetto). Poniamo che un chiaro rappresentante della categoria delle casalinghe di Voghera mi chieda la connessione su LinkedIn. A priori potremmo tranquillamente dire che il mio buyer personas poco ha in comune con la casalinga di Voghera e quindi sulla scorta di tale considerazione non dovrei accettare la richiesta di contatto anche se tale casalinga è interessata a ciò che scrivo per “n” imperscrutabili motivi.
Ma, considera però questi due aspetti:
- l’algoritmo di ricerca di LinkedIn è costruito anche per restituire tra i risultati di una ricerca nominativi di persone fino al 3° grado di separazione. Accettando la casalinga di Voghera vuol dire quindi che potenzialmente potrei essere tra i risultati di una ricerca tramite per esempio le parole chiave “LinkedIn Trainer” fatta da persone nella sua rete contatti (quindi mio 2° grado) e addirittura tra i contatti dei suoi contatti (mio 3° grado). Non credi che già questo amplia le mie possibilità di fare business?
- lo sai vero che ogni volta che una persona clicca su quel “Like” posto in calce ad un tuo post automaticamente questa azione amplifica la visibilità organica di quel post verso la rete di questo tuo contatto? E non credi che quindi sia più utile un “like” di una persona molto distante dalle tue cerchie di conoscenze o dal tuo ambiente (legame debole) piuttosto che di tuo fratello o del tuo amico d’infanzia (legame forte)? Io credo proprio di si. Non trovi?
Questi sono i motivi per cui personalmente ad una richiesta di contatto 8,9 volte su 10 rispondo con un si. Ovvio che un minimo di analisi e di filtro lo faccio. Ma non sono quelli citati prima i parametri che utilizzo per accettare o declinare.
E poi vuoi sapere un insegnamento che porto sempre con me? Quando conosci una persona non chiederti che cosa lui può fare per te ma cosa tu puoi fare per lui. Perchè solo nel caso tu sia potenzialmente in grado di risolvergli un problema hai qualche chance di fare business con lui.
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Bellissimo articolo. Avevo già sentito qualcosa in merito all’importanza dei legami deboli, ma le tue parole mi hanno aiutato a fare luce su molti aspetti. Personalmente ho fatto fino ad ora parte di quella categorie di persone che accettavano richieste di amicizia sul Linkedin se queste pervenivano da gente che avesse più o meno a che fare con il mio campo di interesse. Questo di norma, poi mi è senza dubbio capitato di far entrare all’interno della mia cerchia di contatti gente che apparentemente non aveva nulla a che fare col mio business, ma, ripeto, si è trattato di eccezioni. Credo proprio che comincerò ad usare Linkedin in modo diverso.
Complimenti ancora per l’articolo e grazie per il tuo contributo.
A presto.
Sara
Grazie a te Sara. Lieto di esserti stato utile.
A presto.
Eh sì, sembra un paradosso, ma non lo è 🙂
Il mondo è grande, ma sempre più interconnesso: chi mi assicura che l’occasione della vita non possa arrivare da New York o da Mumbai?
Se la richiesta ci arriva da un utente “serio”, non vedo motivi per rifiutare.
Corretto. E’ esattamente ciò che penso 😉
Sono un lettore prima di essere un autore e leggerti è un piacere, tanto più quando fai vedere la forza dei legami deboli. Grazie da una paladina e sognatrice di un web sempre più NOI e meno IO!
Grazie Gloria. Detto da te ciò che hai scritto ha valore doppio 😉
Ottimo articolo. Di tutto penso che la considerazione più importante, quanto meno per me, sia il chiederti cosa tu puoi fare per aiutare la persona che ti ha contattato.
Da questo atteggiamento, che ho in generale in tutti i social, ho tratto solo vantaggi. Non necessariamente economici, anche se è li che alla fine si cerca di trarne, ma soprattutto a livello umano, di conoscenze di opportunità di scambio di opinioni e quindi di crescita.
Se chiudi una porta non saprai mai cosa c’è dietro.
Bravo Mirko!
Grazie Silvia, vedo che hai completamente compreso il mio punto di vista nonchè approccio alla vita 😉
Questo intervento è oggettivamente scritto come si deve, come l’intero
sito generalmente. Da fan, continuate così.
Ti ringrazio